Anche quest’anno il gruppo liturgico ha pensato di offrire il proprio servizio
preparando delle piccole riflessioni per la Novena di Natale

Di seguito troverete la preghiera che verranno pubblicate giorno per giorno:

16 Dicembre

Admirable Signum

DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
SUL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL PRESEPE

Novena – Primo giorno

Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui.

Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe…

L’origine del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evangelici della nascita di Gesù a Betlemme. L’Evangelista Luca dice semplicemente che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). Gesù viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium, da cui presepe.
Entrando in questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a mangiare. Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come «il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41). Una simbologia che già Sant’Agostino, insieme ad altri Padri, aveva colto quando scriveva: «Adagiato in una mangiatoia, divenne nostro cibo» (Serm. 189,4). In realtà, il presepe contiene diversi misteri della vita di Gesù e li fa sentire vicini alla nostra vita quotidiana

Riflettiamo insieme:


Il Presepe è un Vangelo vivo: mettiamoci spiritualmente in cammino
Gesù viene deposto in una mangiatoia e si fa nostro cibo.
Quando ci accostiamo all’Eucaristia ci sentiamo ricolmi di Gesù e pieni di gioia per averlo incontrato?


Preghiera per i sacerdoti
(San Giovanni Paolo II)

Madre di Cristo e Madre dei sacerdoti
Santa Genitrice di Dio,
al Messia Sacerdote hai dato
il corpo di carne
per l’unzione del Santo Spirito
a salvezza dei poveri
e contriti di cuore,
custodisci nel tuo cuore
e nella Chiesa i sacerdoti.

Madre del Salvatore,
Madre della Chiesa,
tra i discepoli nel Cenacolo
pregavi lo Spirito,
accogli fin dall’inizio i chiamati,
proteggi la loro crescita,
accompagna nella vita e nel ministero i tuoi figli.

Madre dei sacerdoti. Amen


LA CULLA DI DIO – dal carcere di Tegel (Natale 1944)
(DIETRICH BONHOEFFER)

Nella nascita di Gesù Cristo, Dio si abbassa e si rivela Cristo nella mangiatoia.
Guardando la faccenda da un punto di vista cristiano, non può essere un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Molti in questa casa celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato e più autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva che il nome. Un prigioniero capisce meglio di qualunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, mancanza di aiuto e colpa hanno agli occhi di Dio un significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini; che Dio volge lo sguardo proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distoglierlo; che Cristo nacque in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo; tutto questo per un prigioniero è veramente un lieto annunzio.
Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro. Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “si”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima; lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché’ comprendiamo il miracolo del suo amore della sua vicinanza e della sua grazia
Il fatto che Dio elegge Maria a suo strumento, il fatto che Dio vuole venire personalmente in questo mondo nella mangiatoia di Betlemme, non è un idillio familiare, bensì è l’inizio di una conversione totale, di un riordinamento di tutte le cose di questa terra. Non possiamo accostarci alla sua mangiatoia come ci accostiamo alla culla di un altro bambino: a colui che vuole accostarsi alla sua mangiatoia succede qualcosa, perché da essa può allontanarsi di nuovo solo giudicato o redento, deve qui crollare oppure conoscere che la misericordia di Dio è a lui rivolta.
Dio si fa bambino non per trastullarsi, per giocare, ma per rivelarci che trono di Dio nel mondo non è nei troni umani, ma negli abissi e nelle profondità umane, nella mangiatoia. Attorno al suo trono non ha voluto i grandi della terra, ma personaggi oscuri e sconosciuti che non si stancano di guardare questo miracolo e vogliono vivere completamente nella misericordia di Dio. La mangiatoia e la croce sono le due realtà che determinano il destino dell’umanità. Dinanzi ad esse il coraggio dei grandi di questo mondo si dissolve e al suo posto subentra la paura. In verità nessun violento osa avvicinarsi alla mangiatoia e neppure il Re Erode l’ha fatt. Appunto perché qui vacillano i troni, cadono i violenti, precipitano i superbi, perché Dio è con gli infimi. Davanti a Maria, alla serva, alla mangiatoia di Cristo, davanti al Dio della bassezza il forte cade, non ha alcun diritto, alcuna speranza, è giudicato.

D. Bonhoeffer



17 Dicembre

Admirabile signum

Novena – Secondo giorno

San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione… per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità. D’altronde, il luogo stesso dove si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel silenzio.
Perché il presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato…
In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).

Riflettiamo insieme:


Rifugio nella roccia: in Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione.
Siamo capaci di lasciarci avvolgere dal silenzio e di rifugiarci nella nostra anima per stare con Gesù, amico fedele, che ci sta sempre vicino, che ci perdona e ci risolleva dal peccato?


PREGHIAMO PER TUTTI COLORO CHE NON CREDONO

DALLA LITURGIA DELLA CROCE DEL VENERDI’SANTO

Preghiamo per coloro
che non credono in Dio,
perché, vivendo con bontà
e rettitudine di cuore,
giungano alla conoscenza del Dio vero.

Dio onnipotente ed eterno,
Tu hai messo nel cuore degli uomini
una così profonda nostalgia di Te,
che solo quando ti trovano
hanno pace;
fa che, al di là di ogni ostacolo,
tutti riconoscano i segni della tua bontà
e stimolati
dalla testimonianza della nostra vita
abbiano la gioia di credere in Te,
unico vero Dio e padre
di tutti gli uomini.
Per Cristo nostro Signore. Amen

Pietro Cavallini: Nascita di Gesù, mosaico nella Basilica di S. Maria in Trastevere, Roma. 1291 o 96


“E’ Dio, e mi assomiglia” di J.P. Sartre –


tratto dalla raccolta: “Tutte le genti mi diranno Beata” di Renè Laurentin
Sartre, ateo, assertore dell’insignificanza di Dio e della vita, ebbe come compagni di prigionia in Germania nel 1940 un novizio gesuita e alcuni preti, che furono per lui degli amici e gli aprirono un nuovo orizzonte. Discuteva accanitamente con loro, ma ammirava la loro scelta. Su loro richiesta, scrive un testo da rappresentare la vigilia di Natale, in cui esprime non solo la sua acutezza di filosofo e la sua creatività di drammaturgo, ma anche una profonda simpatia che gli permette di penetrare la fede dei suoi compagni e della stessa tradizione cristiana. Ecco il testo:


La Vergine è pallida e guarda il bambino.
Bisognerebbe dipingere sul suo viso,
quella meraviglia ansiosa che non è apparsa
che una sola volta su un volto umano.
Perché il Cristo è suo figlio,
la carne della sua carne e frutto del suo ventre.
Lo ha portato nove mesi in sé stessa e gli darà il seno
e il suo latte diverrà il sangue di Dio.
In alcuni momenti la tentazione è così forte
che dimentica che è il figlio di Dio.
Lo stringe nelle sue braccia e gli sussurra “Piccolo mio”.
Ma in altri momenti rimane interdetta e pensa:
Dio è là, e viene presa da uno sgomento religioso
per questo Dio muto,
per questo bambino che in un certo senso mette paura.
Tutte le madri sono un po’ frastornate, per un attimo,
davanti a questo frammento ribelle della loro carne
che è il loro bambino, e si sentono esiliate davanti a questa nuova vita fatta della loro vita,
abitata da pensieri estranei.
Ma nessun bambino è stato strappato più crudelmente e rapidamente da sua madre,
perché è Dio e supera in tutto, ciò che lei potrebbe immaginare.
Ma penso che ci siano anche altri momenti, rapidi e sfuggenti,
in cui lei sente che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio.
Lo guarda e pensa Questo Dio è il mio bambino.
Questa carne è la mia carne, è fatto di me,
ha i miei occhi e la forma della sua bocca, è simile alla mia,
mi assomiglia, è Dio e mi assomiglia”.
Nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per sé sola,
un Dio piccolissimo da stringere tra le braccia
e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e che respira,
un Dio che si può toccare e che ride.
Ed è in quei momenti che dipingerei Maria se fossi un pittore.

Come ha potuto l’ateo Sartre vergare una pagina così bella? Perché’ l’immagine della Madre di Dio riesce a dissipare i fumi dell’ateismo almeno per qualche tempo? Comunque sia, la presentazione di un Dio che si può prendere fra le braccia e coprire di baci ci fa pensare che il Natale è anche la festa per i non credenti perché l’amore di Dio è più forte della loro negazione, è rifugio nella roccia.


Rene Laurentin



18 Dicembre

Admirabile signum


Novena – Terzo giorno

Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79). Una parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa Famiglia…


Riflettiamo insieme:


Pensiamo ad un cielo stellato e a quante volte la notte circonda la nostra vita.
Chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza.

PREGHIAMO PER I DUBBIOSI

Preghiera
a Santa Maria della Notte
(Don Tonino Bello)

Santa Maria, Vergine della notte,
noi ti imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore.
Irrompe la prova, sibila il vento
della disperazione e
sovrastano sulla nostra esistenza
il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni
o l’ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre
nell’ora del calvario.
Stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile
la lunga attesa della libertà.

Vergine dell’Avvento,
stai aspettando la luce.
Le sorgenti del pianto
si disseccheranno sul nostro volto
e sveglieremo insieme l’aurora.
Amen.

Floriano Ferramola: cielo stellato, affresco, Santa Maria in Solario, Brescia. 1513-24


Tratto da “Meditare il Natale” di F. Castelli
“Chi Sono?”


“E io chi sono?” si chiede Leopardi. La sua risposta è desolante: viandante smarrito e lacerato, preda della noia e del buio. L’ultimo verso del suo “Canto Notturno” sa di pietra tombale: “Forse…è funesto a chi nasce il di natale”.
Chi affermava – Sartre?- che l’uomo è un condannato a portare il proprio cadavere? Vari filoni dell’odierna cultura guardano l’uomo con disprezzo, con sterile pietà, con disgusto. L’uomo? E’ “una passione inutile” (Sartre), “uno straniero per la polizia, per Dio, per me stesso” (Cioran), “un grazioso granellino di polvere sperduto nell’universo” (Buzzati), “questa crudele, sanguinaria scimmia predatrice che si chiama uomo” (Durrenmatt), statuette di terracotta,esposte, all’aperto “che con la pioggia si trasformeranno in fango, e poi in polvere quando il sole le asciugherà, ma questo è il destino di ognuno di noi” (Saramago).
L’evento del Natale ribalta queste desolate definizioni e con la sua luminosità stellare fa vedere l’uomo su uno sfondo di dignità, di valore, di immortalità. In un memorabile messaggio, nel Natale del 1968, Paolo VI ricordava l’evento che all’uomo ha restituito la sua dignità:
“Da allora ogni essere umano è diventato sacro, degno di ogni cura, d’ogni rispetto. Da allora s’è inaugurato il criterio che chi soffre, chi è piccolo, chi è povero, chi è schiavo, chi è decaduto, chi smarrito e pieno di dubbi, merita cura, soccorso, rispetto, e merita maggiore giustizia. Da allora la disperazione, ch’è in fondo all’anima dell’uomo deluso e peccatore, ha avuto titolo a sperare, a rivivere. Da allora una sorgente, ch’è diventata fiume, e di cui la Chiesa vuol essere il canale principale e autentico, un fiume refrigerante, fecondante, rigenerante, è scaturita a Bethleem: l’amore; l’amore nuovo, inconcepibile e incontenibile di Dio, di Dio fattosi nostro fratello e nostro modello, nostro maestro, nostro amico, nostro salvatore e redentore, nostro capo e nostra vita, s’è riversato sulla terra, e ancora la inonda, e qui oggi fa lago, e tutti ci invade, l’amore del Natale, l’amore di Cristo”. (Messaggio del Natale 1968)
Gli orizzonti offerti dalla nascita di Gesù e indicati da Paolo VI sono grandiosi e rivoluzionari. Definiscono la sacralità e la dignità dell’uomo, il rispetto e la giustizia che gli si devono. Definiscono anche le basi su cui costruire la “nuova città” nella luce del Natale, illuminato da un cielo colmo di stelle: la fiducia, l’amore, la solidarietà.
Quando questi orizzonti si oscurano si sconfina nelle barbarie. La notte invade l’animo dell’uomo e tutto è più buio. A Natale allora l’uomo, desolato e intristito dalla oscurità deve fare una cosa semplice: “…alzare gli occhi al cielo e farsi guidare dalla Luce, la meta sarà di grande consolazione e gioia”.


(Charles de Foucauld)



19 Dicembre

Admirabile signum


Novena – Quarto giorno

Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.
«Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15): così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. È un insegnamento molto bello che ci proviene nella semplicità della descrizione. A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe.


Riflettiamo insieme:


I pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale.
La salvezza viene donata ai poveri e agli umili, e non alla tanta gente intenta a fare mille altre cose, so rinunciare a qualcosa per amore di Gesù?

PREGHIAMO PER COLORO CHE HANNO PERSO IL LAVORO

I pastori da “Il presepe vivente” – Natale 2019

PREGHIERA A SAN GIUSEPPE PER TUTTI I LAVORATORI

San Giuseppe, umile lavoratore,
custode premuroso della tua famiglia,
a te ci rivolgiamo.
Tu che conosci il valore altissimo
del nostro impegno e della nostra fatica
con cui collaboriamo
all’opera creatrice di Dio,
e attraverso cui assicuriamo la vita
e il bene alle nostre famiglie e comunità,
rivolgi a noi il tuo sguardo paterno
e assistici.
Custodisci e sostieni tutti coloro
che lavorano per il bene di tutti,
rincuora la fiducia e la speranza
di chi ha dovuto interrompere
la propria attività,
proteggi tutte le famiglie.
E anche quando sarà passato
il tempo della tribolazione
fa che non vengano mai meno
la condivisione e la solidarietà
perché nessuno abbia mai a soffrire.

amen


Tratto dall’articolo/racconto dell’”Avvenire” di Silvano Gianti – dal titolo “TESTIMONI DELL’ESSENZIALE”

Si racconta che alla nascita di Gesù i pastori si organizzarono per andare a vedere ciò che era stato detto loro per mezzo dell’angelo. Ciascuno prese quel poco che aveva per portarlo al Dio fattosi carne. Solo un pastore non si mosse perché talmente povero da non avere nulla da presentare a Gesù bambino.

Convinto dai compagni però anche quel pastore si mosse alla volta della grotta. Appena Maria vide il gruppo avvicinarsi scorse in mezzo a questi l’unico pastore dalle mani vuote; lo chiamò a sé e questi tremante si accostò a Maria la quale consegnò il figlio nelle braccia del povero, le uniche ad essere libere da doni.

A Genova, in direzione di Via del Campo, appoggiati all’ingresso della chiesa di S. Siro, quando il via vai di mezzogiorno è intenso, due uomini di un’età indefinibile, ma certamente ancora giovani, discutono animatamente tra loro……

Sono cingalesi, ma fanno parte del numeroso popolo degli inesistenti, di quelli cioè che non abitano da nessuna parte, anche se vivono a Genova. Di quelli che d’inverno dormono nei portoni di antichi palazzi, su un materasso fatto di scatole di cartone, spesso coperti da altri scatoloni o, accucciati in un sacco a pelo lercio e maleodorante. Mentre d’estate invece dormono sulle barche nei porticcioli, sulla spiaggia, a ridosso degli stabilimenti balneari. I due sono talmente sporchi che avvicinarsi richiede un notevole coraggio, ma mi incuriosiscono e resisto al fetore.

Sono senza documenti, non svolgono alcun lavoro, ma, mi spiega uno dei due, sopravvivono con dei piccoli furtarelli. Non faccio fatica a crederci e presto mi convinco che, così malridotti, di furti veri e propri non sarebbero in grado a compierne pur mettendoci tutta la buona volontà. Avevano viaggiato da clandestini, nelle stive di una nave portacontainer, battente bandiera indiana. Da quando erano arrivati a Genova, mangiavano quando capitava, non si lavavano quasi mai e tanto meno si cambiavano d’abito. I pantaloni sono lucidi per lo sporco, li ho dovuti guadare attentamente, perché sembravano di tela cerata e invece era solo lo strato di lercio che luccicava sulle gambe, fino alle ginocchia.

Gli indico un centro di ascolto, dove possono rifocillarsi, pulirsi e avere coperte e abiti. Ma non riesco a convincerli. «Siamo clandestini», mi dicono e la paura di essere cacciati è invincibile. Li rassicuro più volte che non sarebbe successo nulla, che si potevano fidare, ma è tutto tempo sprecato. Quando li avevo incrociati, stavano litigando e, appena avevo fatto per allontanarmi, avevano ripreso a brontolare. Così sono tornato sui miei passi e chiedo, con una certa sfacciataggine, il motivo del litigio.

Quello apparentemente più anziano, cercando forse un alleato, mi spiega di avercela con il compagno perché una signora, vedendoli così mal ridotti, si era impietosita e gli aveva regalato due litri di latte e due scatole di biscotti. Il fatto che lo aveva irritato è stato che secondo lui il suo amico non avrebbe dovuto accettare tutta quella quantità di cibo, per loro due bastavano un litro di latte e un pacco di biscotti.

«Ma è un regalo”, dico cercando di riportare la pace“e in fondo un litro di latte e un pacco di biscotti non sono poi una così grande quantità di cibo». “E invece no” mi ha spiegato l’anziano. «A noi basta una razione e questo latte e questi biscotti potevano essere dati a qualcun altro che ha fame come noi». Ammirato per il suo altruismo, resto un istante in silenzio. Poi, mi viene un’idea. «Perché, dico, non date semplicemente quello che vi avanza a un altro che ha fame»Mi guardano compiaciuti e subito l’anziano porta un litro di latte e un pacco di biscotti a un altro clochard che poco più in là chiede l’elemosina.

“Abbiamo molto da ricevere dai poveri, che sono testimoni dell’essenziale”. Ha detto papa Francesco recentemente. Il numero crescente di persone emarginate e che vivono in grande precarietà ci interpella e domanda uno slancio di solidarietà per dare loro il sostegno materiale e spirituale di cui hanno bisogno…. E nello stesso tempo noi abbiamo molto da ricevere dai poveri che accostiamo e aiutiamo. Alle prese con le loro difficoltà sono spesso testimoni dell’essenziale, dei valori familiari; sono capaci di condividere con chi è più povero di loro e ne sanno gioire”.               

Silvano Gianti



20 Dicembre

Admirabile signum


Novena – Quinto giorno

Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.
I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato.
Spesso i bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina.


Riflettiamo insieme:


I mendicanti è gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore.
I poveri, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.
Riconosciamo di avere bisogno dell’Amore di Dio e della sua vicinanza?

PREGHIAMO PER I POVERI

Preghiera per gli esclusi
(Santa Madre Teresa di Calcutta)

Signore misericordioso,
tu mi hai dato il coraggio di sentire
che hai bisogno di me,
dammi ancora la forza di amare
gli esclusi
tanto quanto tu mi ami
e hai bisogno di me.

Signore,
tu sai che essere escluso
significa essere il più povero tra i poveri.
Un uomo ricco o una donna benestante
possono essere esclusi,
come possono esserlo i poveri
di questa piccola terra
che tu ci hai dato.

Il tuo amore, la tua misericordia
e la tua presenza
sono i tesori più grandi
nella mia vita.

Amen

Giorgione: Natività Allendale, olio su tavola 1500-1505, National Gallery of Art, Washinghton


Tratto dal libro: “Le Parole del Nostro Tempo” di Matteo Zuppi e Andrea Segrè
“La Povertà” di Card. Matteo Zuppi


È incredibile che un Paese come l’Italia abbia milioni di persone sulla soglia della povertà. È incredibile perché significa che siamo di fronte a ingiustizie e dissipazioni di ricchezze che fanno sì che ci siano ancora milioni di persone quasi povere e che, quasi sicuramente, diverranno povere. La pandemia ha rivelato in modo lampante questo dato che, credo, diventerà ancora più evidente nei prossimi mesi, soprattutto se la ripresa sarà più lenta e difficoltosa delle previsioni.
La conseguenza è che qualcuno non ce la farà, che resterà fuori, che dovrà misurarsi con tempi lunghi: la ripresa, infatti, non è semplicemente un tasto da premere. C’è un’onda lunga della crisi economica le cui conseguenze, come la piena di un fiume, arriveranno più tardi. Don Primo Mazzolari diceva che la misericordia e la carità fanno vedere i poveri, mentre il disinteresse non fa accorgere di loro: “Chi ha poca carità vede pochi poveri; chi ha molta carità vede molti poveri” (La parola ai poveri di Don P. Mazzolari). Occorre, dunque, non abituarsi alla povertà, perché la povertà è sempre uno scandalo. L’attenzione ai poveri ci aiuta a comprendere il senso e l’uso delle nostre ricchezze: solo stando dalla parte dei poveri si capisce e si usa bene il benessere che si ha, altrimenti se ne viene deformati.
L’invito a praticare le opere di misericordia non è semplicemente come pagare il biglietto, facendo qualche elargizione per mettere tranquilla la coscienza, ma è non accettare di vedere, senza fare niente, mio fratello, mia sorella, mio padre, mia madre, che stanno male. Se ci liberiamo dell’idea che fare il bene è un rapporto tra chi dona e chi riceve, e comprendiamo che è un rapporto tra fratelli, davvero si capisce che quello che si fa al povero, in realtà, lo si fa a Gesù, ma, anche, a noi stessi. Se aiuto qualcuno, verrò aiutato anche io!
Riceviamo quello che abbiamo donato. Il povero è mio fratello e, se lo aiuto, capisco chi sono e che senso ha quello che ho. Lo descrive Manzoni che riassume così una delle verità più importanti della vita: “Fate del bene a quanti più potete, dice qui il nostro autore; e vi seguirà tanto più spesso d’incontrare de’ visi che vi mettono allegria” (A: Manzoni – I promessi Sposi – cap. XXIX).
Nella pandemia abbiamo vissuto una certa austerità negli stili di vita, che ci ha fatto mettere via quel superfluo che avevamo pensato fosse essenziale, tanto che si è realizzata una vera e propria liberazione da tante dipendenze che si sono rivelate essere vere e proprie schiavitù. Il senso cristiano del digiuno non è il sacrificio fine a sé stesso, ma la libertà di essere noi stessi a decidere, a ricomprendere il valore delle cose, a usarle e non a essere usati da queste. In fondo, credo che tutti abbiano capito che “meno è di più” – come dice Papa Francesco nella Laudato si – e che non è vero che l’avere molto assicura lo stare bene. Le difficoltà dovute alla pandemia ci hanno aiutato a ricentrare la nostra vita e a ritornare a ciò che conta. E questo sempre grazie alla vicinanza dei poveri e alla necessità di liberarci di quel benessere che, in realtà, non fa bene.
Quando nel “discorso della montagna” Gesù dice “beati i poveri in spirito”, concretamente intende definire una sua scelta privilegiata, che è quella dei poveri, perché lui stesso è povero. Il vangelo aiuta a liberarsi dalla tentazione del possesso, dalla stoltezza e dall’insipienza (che, spesso, accompagna la ricchezza, soprattutto quando manca la relazione con l’altro), dal senso di onnipotenza e dall’illusione di poter decidere totalmente della propria vita. L’immagine più chiara della beatitudine dei poveri in spirito è San Francesco, che trova sé stesso e la sua gioia liberandosi dei propri averi e, proprio perché povero, diventa ricco, capace di far ricchi gli altri: tutto gli appartiene e tutto diventa suo. Occorre, però, ricordare che Gesù non ha detto: “beata la povertà”, ma: “beati i poveri”. Il vangelo, infatti, non chiama mai a una vita impoverita, ma a una vita più piena e più ricca. In questo senso, la povertà diventa la scoperta delle proprie capacità e di quello che ognuno è per davvero: questo è alla base dell’impegno per una vera lotta alla povertà. Io non sono l’abito che porto, ma quello che ho nel cuore! Il Signore chiede ai ricchi di stare dalla parte dei poveri, di pensarsi con loro e insegna a condividere il pane, cioè quello che si ha e che serve per vivere. Solo con la condivisione tutti possono e devono essere saziati. Anche noi! Gesù invita a non accettare mai che ci sia qualcuno che abbia fame e qualcun altro che passi la vita davanti a una tavola imbandita, e ci ricorda che il presente e il futuro del ricco dipendono dal povero!
Questo il Signore ce lo ha detto e manifestato sin dalla sua venuta: Lui è venuto nella povertà e i suoi primi sudditi erano nella povertà! È stato chiaro sin da principio su per chi è venuto, su per chi è nato e da chi voleva fosse accolto.



21 Dicembre

Admirabile signum


Novena – Sesto giorno

Poco alla volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale. Le sue parole: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), sono per tutti noi la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio. Con quel “sì” Maria diventava madre del Figlio di Dio senza perdere, anzi consacrando grazie a Lui la sua verginità. Vediamo in lei la Madre di Dio che non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola e metterla in pratica (cfr Gv 2,5).
Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe… Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.


Riflettiamo insieme:


Maria e Giuseppe rispondono con obbedienza piena e totale al volere di Dio.
Abbandoniamoci, nella fede, alla volontà di Dio su ognuno di noi.

PREGHIAMO PER TUTTI I GENITORI

“Maria e Giuseppe” dalla rappresentazione de “Il Presepe Vivente” – Natale 2019

PREGHIERA PER I GENITORI
(San Giovanni Paolo II)

Guida, o Cristo, nella verità
i padri e le madri di famiglia,
spronati e fortificati
dalla grazia sacramentale
del Matrimonio e
consapevoli di essere sulla terra
segno visibile del tuo amore per la Chiesa
sappiano essere sereni e decisi
nell’affrontare con coerenza evangelica
le responsabilità della vita coniugale e
dell’educazione cristiana dei figli.
Guida, o Cristo, nella verità
i giovani della parrocchia,
che non si lascino attrarre
dai nuovi idoli…
ma vivano con gioia il tuo messaggio,
che è il messaggio delle Beatitudini,
il messaggio dell’amore verso Dio
e verso il prossimo,
il messaggio dell’impegno morale
per la trasformazione autentica
della società.

Guidaci o Cristo nella verità! Sempre!

Amen


Tratto da “ESSERE GENITORI” di Lucia Bertini – Il Mistero di Nazareth
(Raccolta dei Quaderni dei Giullari)


Mentre sfogliavo un testo di raccolta di scritti di s. Agostino mi imbattevo in questo passo: “State attenti a come ciò avvenne. Il Signore Gesù Cristo essendo, in quanto uomo, nell’età di dodici anni, egli che, in quanto Dio, esiste prima del tempo a disputare con gli anziani, che rimanevano stupiti della sua scienza. I genitori, invece, ripartiti da Gerusalemme, si misero a cercarlo nella loro comitiva, cioè tra coloro che facevano il viaggio con loro, ma, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme angosciati e lo trovarono che disputava con gli anziani, avendo egli, come ho detto, solo dodici anni. Ma che c’è da stupirsi? Il Verbo di Dio non tace mai, sebbene la sua voce non sempre si senta. Viene dunque trovato nel tempio, e sua madre gli dice: Perché ci hai fatto una simile cosa? Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo. Ed egli: Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? . Egli rispose così, poiché il Figlio di Dio era nel tempio di Dio. Quel tempio infatti non era di Giuseppe, ma di Dio. “Ecco – dice qualcuno – non ammise d’essere figlio di Giuseppe “. Fate un po’ d’attenzione, fratelli, affinché la strettezza del tempo ci basti per il discorso. Poiché Maria aveva detto: Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo, egli rispose: Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? In realtà egli non voleva far credere d’essere loro figlio senza essere nello stesso tempo Figlio di Dio. Difatti, in quanto Figlio di Dio, egli è sempre tale ed è creatore dei suoi stessi genitori; in quanto invece figlio dell’uomo a partire da un dato tempo, nato dalla Vergine senza il concorso d’uomo, aveva un padre e una madre. In qual modo proviamo quest’asserzione? L’ha già detto Maria: Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo. (Sermo 51,10,17- Commento al Lc 2,41.50)
Parlare oggi della realtà “genitoriale”, può essere uno dei temi più affascinanti: prima di tutto perché in sé l’esperienza di “essere genitori”, credo che sia una delle emozioni più belle, ma in secondo luogo, purtroppo, è uno degli argomenti su cui urge parlare perché si sta andando un po’ alla deriva. Anche nella nostra realtà italiana diventa un problema sempre più spinoso, e non solo per il proverbiale rapporto conflittuale genitori-figli, ma soprattutto perché la figura del genitore sta perdendo il suo peso, considerato l’incremento del numero delle separazioni, con conseguenza della perdita del ruolo e della crisi di identità. Semplicemente possiamo fare l’esempio che oggi i figli devono fare i conti con i compagni/e dei loro genitori. Possiamo parlare delle violenze che subiscono i bambini quando sono costretti ad accettare una nuova figura genitoriale nella loro casa. Quanti genitori, infatti, rinunciano a portare in casa un’altra persona, proprio per rispetto dei loro figli e non fanno questa scelta finché i figli non riescono ad accettare la nuova persona! Un tema allora questo che non possiamo sottovalutare e che anche all’interno della pastorale familiare della chiesa, va affrontato con molta serietà e competenza. I parroci sanno bene che è sempre più frequente che nell’esperienza della prima comunione i bambini oltre che ad avere presenti i genitori naturali, devono fare i conti con la compagna o il compagno del papà o della mamma. Mi chiedo tante volte: come sarà la generazione che non ha avuto una famiglia “regolare”. E tremo pensando a delle realtà, come per esempio quella di Cuba, dove è naturale tutto questo “scambio genitoriale”, e gravi sono le conseguenze a livello sociale e psicologico.
E proprio perché è un ambito molto delicato e fragile, è di fondamentale importanza presentare dei modelli forti e solidi. Perché non insistere a presentare soprattutto il modello di Maria e Giuseppe come genitori “ideali”. Dobbiamo prima di tutto dire che Giuseppe e Maria sono stati veri genitori di Gesù. Ed è importante ribadire questo perché a volte si può pensare ad una funzione “ideale” di questi genitori, ma sono stati invece realmente e concretamente “genitori”. Perché come si dice nella lettera ai Romani (cap. 4), nel testo che si legge proprio nella liturgia della solennità di San Giuseppe, “eredi si diventa per virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo”. Non è la carne che ti rende genitore, ma il cuore, il desiderio, la volontà, l’amore, il dare la vita per i tuoi figli. Agostino utilizza il testo di Luca: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo», per rispondere a coloro che non riconoscevano l’umanità di Cristo e tanto meno che avesse dei genitori. Quella di Giuseppe è allora una paternità legale e a riconoscerla ci ha aiutato proprio la Vergine Maria, che non solo fa questo, ma si mette al secondo posto rispetto a Giuseppe; infatti non dice: io e tuo padre, ma tuo padre ed io. La Vergine avrebbe avuto tutto il diritto di mettersi al primo posto, considerato che lei sola era la genitrice di Cristo. E in riferimento alla risposta di Cristo: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?», Agostino afferma che con essa Gesù ha voluto affermare la sua origine divina e ha voluto ricordare ai suoi genitori che essi sono genitori non della sua divinità, ma della sua infermità, della sua umanità. La divinità di Gesù, educherà Giuseppe e Maria a non sentire di proprietà il figlio Gesù, ma a lasciarlo libero per la sua missione. Allo stesso modo, tutti i genitori sono chiamati a sentirsi non proprietari dei propri figli, ma “educatori”, ad aiutarli cioè a tirar fuori il meglio della loro personalità e a scoprire i doni ricevuti da Dio, per poi lanciarli verso il loro futuro. E a proposito possiamo citare l’immagine utilizzata da Gibran, il quale paragona i genitori a degli archi e i figli a delle frecce. L’arco serve solo per lanciare, la traiettoria la dà l’occhio di Dio e i figli sono quelle frecce che si dirigono verso l’obiettivo voluto da Dio. Ma certamente sia l’arco, sia le braccia ferme e forti che tengono l’arco, hanno un ruolo fondamentale per quanto riguarda il futuro dei figli. E tutto questo può avvenire solo in una dimensione di grande libertà.



22 Dicembre

Admirabile signum


Novena – Settimo giorno

Il cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è stato bambino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore, che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque.
La nascita di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita.
… Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita.


Riflettiamo insieme:


Gesù Bambino: Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia.
Guardando il bambino Gesù percepiamo la presenza di Dio nella nostra vita?

PREGHIAMO PER TUTTI I FANCIULLI

PREGHIERA
PER I FANCIULLI

di Madre Anna Maria Canopi

Ti prego, Maria, per tutti i ragazzi
che stasera hanno voglia di piangere
perché non hanno affetto,
perché non hanno nessuno
che dia loro la buona notte
e li inviti a dormire tranquilli.

Ti prego, Maria per tutti gli orfani
per tutti i ragazzi
abbandonati dai genitori,
per quelli che, per qualsiasi motivo,
vivono lontani dalla famiglia.

Ti prego, Maria, per i ragazzi
che oggi sono stati malati.
Per quelli che sono stati sfruttati,
per quelli che, invece di giocare e studiare sono costretti a lavorare.

Ti prego, Maria, per i ragazzi disabili
e per coloro ai quali anche oggi
il giorno è sembrato lungo e noioso.

Ti prego, Maria.

Amen


Tratto da “Gesù nasce Bambino” di S. Alfonso Maria de’ Liguori


Il primo segno che diede l’Angelo ai pastori, per ritrovare il Messia già nato, fu di trovarlo in forma di Bambino: “troverete un bambino avvolto in fasce, a giacere in una mangiatoia” (Lc 2,12)
La piccolezza dei bambini è una grande attrattiva: assai maggiore dev’essere a noi la piccolezza di Gesù Bambino, che essendo un Dio immenso, si è fatto piccolo per nostro amore. Adamo comparve in età perfetta; ma il Verbo Eterno volle comparir Bambino per tirarsi così con maggior forza di amore i nostri cuori. “Così ha voluto nascere, colui che ha voluto essere amato”. Egli non venne al mondo per mettere terrore, ma per essere amato; e perciò volle farsi vedere nella sua prima comparsa da tenero e povero Bambinello.
Il mio Signore è grande, e perciò troppo merita di essere lodato per la sua divina maestà. Ah! chi considera con fede un Dio fatto Bambino piangere e vagire sulla paglia, in una grotta, come è possibile che non lo ami e non inviti tutti ad amarlo, come invitava San Francesco d’Assisi: Amiamo il Bambino di Betlemme, amiamo il Bambino di Betlemme? Egli è Bambino, non parla, vagisce soltanto: ma oh Dio che quei vagiti son tutte voci di amore con cui ci invita ad amarlo e ci domanda il cuore.
Inoltre i bambini si tirano ancora gli affetti, perché si considerano innocenti: ma gli altri bambini tutti nascono infetti della colpa; Gesù nasce Bambino, ma nasce santo: “santo, innocente, immacolato” (Eb.7,26). L’amato mio, diceva la sacra Sposa, è tutto rubicondo per l’amore ed è tutto candido per la sua pura innocenza, senza macchia di alcuna colpa: “il mio diletto è candido e rubicondo distinto fra migliaia” (Ct.5,10).
In questo solo Bambino trovò l’Eterno Padre le sue delizie, perché (come dice san Gregorio) “in questo solo non trova colpa”. Consoliamoci noi miseri peccatori, perché questo divino Infante è venuto dal cielo a comunicarci questa sua innocenza per mezzo della sua passione. I meriti suoi, se noi sappiamo avvalercene, possono mutarci da peccatori in santi ed innocenti; in questi meriti mettiamo tutta la nostra confidenza; per questi domandiamo all’Eterno Padre sempre le grazie ed otterremo tutto.
Eterno Padre, io misero peccatore, reo dell’inferno non ho che offrirvi in soddisfazione dei miei peccati; vi offro le lagrime, le pene, il sangue, la morte di questo Bambino, che è vostro Figlio, e per questi vi domando pietà, Se io non avessi questo Figlio da offrirvi, sarei perduto, non vi sarebbe più speranza per me; ma Voi per questo me lo avete dato, affinché io con offrirvi i meriti suoi speri la mia salute.
Signore è stata grande la mia ingratitudine, ma è più grande la vostra misericordia. E qual maggior misericordia poteva io da Voi sperare che l’avere da Voi in dono il Vostro medesimo Figlio per mio Redentore e per vittima dei miei peccati? Per amore dunque di Gesù Cristo perdonatemi tutte le offese che vi ho fatte, delle quali mi pento con tutto il cuore, per avere offeso voi bontà infinita. E per amore di Gesù Cristo vi cerco la santa perseveranza.
Gesù mio, caro mio Bambino, incatenatemi con il vostro amore. Io vi amo e voglio sempre amarvi. Non permettete che abbia a separarmi mai dal vostro amore. Amo anche Voi Madre mia; amatemi ancora Voi. E se mi amate, questa è la grazia che mi avete da impetrare che io non lasci più di amare il mio Gesù.



23 Dicembre

Admirabile signum


Novena – Ottavo giorno

Quando si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura.
Guardando questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.
I Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo… Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti.


Riflettiamo insieme:


I Re Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo.
Ognuno di noi si faccia portatore della Bella Notizia, raccontando questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti.

PREGHIAMO PER TUTTI I CATECHISTI E I TESTIMONI DELLA FEDE

VIVERE DI TE
PREGHIERA DEL CATECHISTA

(Don Tonino Bello)

Chiamato ad annunciare
la tua Parola,
aiutami Signore,
a vivere di Te,
e ad essere strumento
della tua pace.
Assistimi con la tua luce,
perché i ragazzi che
la comunità mi ha affidato
trovino in me
un testimone credibile del Vangelo.
Toccami il cuore e rendi
trasparente la mia vita,
perché le parole
quando veicolano la tua,
non suonino false sulle mie labbra.
Esercita su di me un fascino così potente
che, prima ancora dei miei ragazzi,
io abbia a pensare come Te,
ad amare la gente come Te,
a giudicare la storia come Te.

Ho paura, Signore, della mia povertà…

Amen

Giotto: Adorazione dei Magi, affresco Cappella degli Scrovegni, Padova. 1303-1305



I LONTANI VEDONO LA STELLA, I VICINI NO

Tratto da “L’Attesa del Messia” di Card Angelo Comastri


San Paolo, nella Lettera ai Galati, presenta così la nascita di Gesù: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio” (4,4). San Marco, all’inizio del Vangelo, riferisce queste parole di Gesù: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino” (1,15). Perché San Paolo e Gesù si esprimono in questo modo? Attorno agli anni in cui apparve Gesù esisteva tra gli Ebrei una viva attesa del Messia. E questa attesa aveva valicato i confini di Israele e si era diffusa anche nell’impero romano, come indicato dalle sottolineature di Tacito nei suoi scritti.
Anche in Mesopotamia, la terra dei Magi, esisteva la convinzione, oggi ampiamente documentata, che un Messia doveva venire dalla Giudea per dominare il mondo; ed era stato stabilito con stupefacente sicurezza, che questo Messia sarebbe nato in un tempo ben preciso; esattamente in quel tempo in cui per i Cristiani, il “dominatore del mondo” è veramente venuto. Dio ha seminato la sua strada di tanta luce e chi ha l’occhio limpido e il cuore non prevenuto, può facilmente riconoscere in Gesù l’atteso dell’umanità e l’inviato da Dio. Si capisce allora il senso della domanda dei Magi, riferita dall’evangelista Matteo: “Dov’è il re dei giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo” (2,2). In questa domanda c’è tutta la grandezza di questi uomini.
I Magi si rivelano persone desiderose di sapere, cercano la verità che dà senso alla vita. Come è possibile, infatti, concepire un viaggio in terre lontane, guidati soltanto da un indizio stellare? La sete di verità di questi uomini doveva essere davvero ardente per esporsi al rischio del ridicolo, domandando notizie su un misterioso personaggio. I Magi erano divorati da un a ricerca appassionata del significato della vita umana e la strada per Gerusalemme fu per loro come un viaggio verso la speranza, un tentativo di raccogliere nuova luce per la loro anima. Come è bella questa sana inquietudine che non permette di adagiarsi sulla mediocrità! È da notare un fatto: “All’udire queste parole, il re Erode fu turbato e con lui tutta Gerusalemme (Mt 2,3). Gerusalemme appare una città impreparata, eppure tutti sapevano che era giunto il tempo del Messia. I sommi sacerdoti e gli scribi si rivelano uomini che leggono la Scrittura con lo stesso distacco con cui si legge un papiro dell’antichità; per loro non c’erano novità da attendere; essi avevano sicurezze da imporre, ma non da cercare. Tristissimo (e purtroppo, comune!) atteggiamento interiore!
Per questo si stupiscono che i Magi vadano cercando qualcosa, addirittura qualcuno. Oggi accade la stessa cosa. Molti, religiosamente, si sentono arrivati, non hanno più nulla da imparare e da cercare; è l’atteggiamento più pericoloso e soprattutto più arrogante che si possa pensare. È l’atteggiamento del fariseo, che esce dal tempio con un peccato in più. Infatti con Dio bisogna sempre mettersi in viaggio, perché la vita è sempre tempo di conversione. Credere non è sedersi sul trono della sufficienza, a camminare sempre nell’umile ricerca di un bene sempre più grande.
Intanto i sommi sacerdoti e gli scribi rispondono a Erode, preoccupato a motivo del problema suscitato dai Magi, e gli dicono: il Messia nascerà: “a Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele” (Mt 2,5-6).
Erode è preoccupato. È preoccupato soltanto di difendere il suo potere e vede anche in Dio un concorrente per il trono. Egli è un povero illuso, un povero uomo deformato dalla smania di dominare. Dio è venuto proprio a ridicolizzare questo potere; Dio è venuto per contestarci, mettendosi all’ultimo posto; Dio è venuto a insegnare un modo nuovo di essere grandi: la grandezza del servizio e del dono di sé.
Oggi, dopo secoli di cristianesimo, abbiamo superato la ricerca del potere in tutte le sue forme o abbiamo ancora la mentalità di Erode? Siamo davvero sulla strada dell’umiltà e del servizio insieme a Cristo? O siamo, forse, caduti nella trappola dell’orgoglio che cerca titoli, glorie, privilegi, ricompense, onori? L’atteggiamento di Erode può manifestarsi in tante, tantissime maniere. Per questo dobbiamo essere vigilanti e dobbiamo essere pronti a ricominciare ogni giorno il viaggio verso il Signore: con tanta umiltà, con l’umiltà dei Magi.



24 Dicembre

Admirabile signum


Novena – Nono giorno

Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, in qualunque condizione si trovi, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano.
Il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.


1° dicembre 2019, settimo del pontificato.


Riflettiamo insieme:

Il presepe racconta l’amore di Dio, in qualunque condizione si trovi, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano. Il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.

PREGHIAMO PER LE FAMIGLIE

Il Presepe della nostra Parrocchia Santa Maria del Buon Consiglio – Roma

PREGHIERA PER LA FAMIGLIA
(Santa Madre Teresa di Calcutta)

Padre dei cieli,
che nella Santa Famiglia
ci hai dato un modello di vita,
aiutaci a fare della nostra famiglia
un’altra Nazareth
dove regnano l’amore, la pace, la gioia.
Aiutaci a stare insieme
nella gioia e nel dolore,
grazie alla preghiera in famiglia.
Fa’ che il Cuore di Gesù
renda i nostri cuori
miti e umili come il Suo.
Aiutaci a svolgere santamente
i nostri doveri familiari.
Fa’ che possiamo amarci
come tu ci ami,
e perdonaci i nostri difetti
come Tu perdoni i nostri peccati.
Amen.


IL CAMPO D’AZIONE DELL’AMORE – di Card Raniero Cantalamessa

È possibile credere oggi e coltivare un’idea della famiglia così alta, senza sembrare degli illusi che vivono fuori del tempo? È possibile vedere ancora nella famiglia il nido della vita e la culla dell’amore, ina epoca in cui essa è così spesso sotto accusa, così spesso teatro di fatto terribili?
Noi cristiani dobbiamo rispondere: Sì, è possibile, anzi è necessario! È proprio questa testimonianza di ottimismo che i credenti sono oggi chiamati a dare ai valori della creazione.
È possibile che due giovani si conoscano, che si accorgano di volersi bene, un bene speciale, diverso da ogni altro sentimento fino ad allora provato. È possibile che il loro amore maturi fino a prendere possesso di tutto il loro essere e trasformarli, come il fuoco che rende incandescente ciò che penetra. È possibile che un giorno arrivino così davanti all’altare per chiedere a Dio, con la fiducia di figli, di consacrare il loro amore che, nonostante la fragilità della loro carne, si sono sforzati di mantenere casto, o di renderlo tale cammin facendo, per presentarlo da consacrare per tutta la vita. È possibile che intorno a loro, o meglio da loro, sboccino altre vite, che passino gli anni, che bussino alla porta i più profondi dolori, senza che la loro famiglia e il loro amore si inaridisca.
Tutto ciò è possibile, per il semplice motivo che esiste di fatto e tutti noi, forse, ne abbiamo conosciuto qualche esempio.
Qual è il prezzo di questa conquista, dirà qualcuno? Non è forse l’eroismo, o addirittura la santità? In un certo senso sì. Perché ogni vita cristiana autentica è una chiamata all’eroismo. Ma il segreto reale è questo: non perdere mai il contatto e non distaccarsi mai dalla radice da cui nacque un giorno alla famiglia, cioè dall’amore. Oggi si parla tanto del diritto di famiglia. Ma guai ad attendersi la rinascita della famiglia semplicemente da un nuovo diritto che regoli i rapporti giuridici e patrimoniali tra marito e moglie e tra genitori e figli.
Sarebbe una delusione enorme. La rinascita non può venire da un nuovo diritto, ma da un nuovo amore; l’amore è la realtà che fa nascere e che sola può mantenere in vita una famiglia.
Questo sembra impossibile, perché si pensa subito, ma a torto, a un certo tipo di amore che per se stesso è instabile, finito, recessivo, cioè destinato al declino, come ogni cosa e ogni sentimento umano. Ma non è così se tale amore è “rialzato” progressivamente dalla carità. Sì, la carità, quella del prossimo, quella che costituisce “il primo e il più grande comandamento” deve trovare il primo e principale campo di azione nella famiglia. E’ strano che per amore del prossimo si intenda l’amore per i poveri del terzo mondo, per i lebbrosi, per i lontani, e non si intenda, di solito, l’amore del prossimo più prossimo, cioè di quello che ci sta vicino e al quale noi stiamo più vicino.
Quando la carità (quella che la Scrittura chiama agape) viene a completare l’amore umano (quello che i greci chiamavano eros), allora i frutti sono meravigliosi.